Albert Bandura attraverso il determinismo triadico reciproco considera l’azione un risultato dell’interazione reciproca tra aspetti cognitivi, affettivi e biologici della persona, ambiente e condotta. Il concetto si basa sulla dialogicità costante dell’intero processo, sull’impatto mediato da ciascun fattore e sulla molteplicità di risultanti in termini di azione inevitabilmente generate.
L’interazione e la contaminazione tra i vari elementi spiega perché nonostante in specifici soggetti sia apprezzabile l’apprendimento di modelli comportamentali e l’interiorizzazione di riferimenti normativi e valoriali, sia possibile osservare comportamenti e azioni incoerenti rispetto agli stessi.
In analogia a quanto teorizzato da Matza attraverso le tecniche di neutralizzazione, Bandura esamina quindi in dettaglio le strategie che i soggetti mettono in pratica per sganciarsi dagli imperativi morali e valoriali acquisiti per mezzo del processo di socializzazione. Il disimpegno morale, nello specifico, consente agli individui di liberarsi dalla responsabilità dell’azione antinormativa attraverso una serie di meccanismi che inibiscono la sanzione interna e giustificano in maniera individualmente accettabile il proprio operato. Questi sono:
- Giustificazione morale. L’azione è celata dietro una motivazione moralmente elevata o una finalità superiore (“L’ho fatto per il bene dei miei figli”).
- Etichettamento eufemistico. L’entità del comportamento è idealmente ridotta per mezzo di una definizione benevola (“Era solo uno schiaffetto”).
- Confronto vantaggioso. Si ridimensiona il proprio operato confrontandolo con comportamenti considerati moralmente più gravi (“Ho fatto solo un furto, c’è chi rapisce e fa del male”).
- Dislocamento della responsabilità. La responsabilità delle proprie azioni é demandata a un’autorità superiore (“Ho eseguito gli ordini del mio capo, non potevo fare diversamente”).
- Diffusione o diluizione della responsabilità. Tipica delle condotte di gruppo, secondo cui un reato “condiviso” acquisisce meno peso a livello individuale (“Ci siamo confrontati e tutto il gruppo voleva farlo, è stata una scelta condivisa”).
- Distorsione delle conseguenze. Le risultanze dei comportamenti sono considerate in un’ottica positiva anziché negativa (“Dopo quei cinque schiaffi ha iniziato a comportarsi da uomo”).
- Attribuzione di colpa alla vittima. Il danno arrecato alla vittima è considerato “meritato” dalla stessa, generalmente a causa di caratteristiche e comportamenti percepiti in maniera volutamente distorta (“Se l’è cercata, hai visto come mi ha provocato?”).
- Deumanizzazione della vittima. La vittima è considerata diversa dagli altri, umanamente meno meritevole di cure, diritti e premure. E’ ritenuta quindi accettabile la condotta antisociale messa in atto (“Era solo un barbone”).